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Ventimiglia #8 – Ventimiglia Blues
A Ventimiglia il nuovo giorno sorge sempre due volte. La prima è la mattina quando si tratta di trovare informazioni, cercare di essere razionali, trovare il modo di far quadrare il cerchio. Dopo tre settimane di presidio i problemi rimangono e si amplificano. Non c’è Internet per verificare le voci più disparate e questo porta via un sacco di tempo. Nemmeno gli avvocati sono presenti sul luogo e sono poche anche le realtà di movimento che finora hanno partecipato al presidio. La polizia non rende facile la situazione: dopo aver fatto spostare la tenda dove si trovava il cibo (ora fissa sugli scogli) durante la mattina ha anche fatto liberare il marciapiede che corre lungo la scogliera. Il pensiero ritorna alle parole di un residente che pochi giorni giorni fa si lamentava del fatto che lo avevano privato della strada per andare a correre: «Poveri residenti», aveva commentato Anna con un certo sarcasmo.
Il problema è che con lo spostamento della tenda salta anche il punto di riferimento dato ai migranti, il luogo dove si erano svolte le assemblee, dove cucinare, dove conversare nelle ore del giorno. Tutto da rifare, insomma, e poco a poco di riproviamo. Continue reading
Ventimiglia #7 – Tra la brutalità della frontiera e una partita a calcio + lettera agli organizzatori e alle squadre partecipanti ai Mondiali antirazzisti di Bosco Albergati
“No Time No Space another Race of Vibrations […]
Parlami dell’ esistenza di mondi lontanissimi
di civiltà sepolte di continenti alla deriva.
Parlami dell’amore che si fà in mezzo agli uomini
di viaggiatori anomali in territori mistici… di più.
Seguimmo per istinto le scie delle Comete
come Avanguardie di un altro sistema solare”
Arriviamo al presidio No borders di Ventimiglia nel primo pomeriggio di mercoledì; sulla strada veniamo fermati e accuratamente ispezionati dalla polizia. Il controllo sul territorio si fa sempre più pressante, così come il caldo non lascia fiato. Nonostante ciò, continua la resistenza dei migranti sugli scogli, accompagnata dalla solidarietà degli attivisti del presidio. La stanchezza comincia a farsi sentire, l’assenza di una risposta reale da parte dell’Unione Europea pesa ma non dissolve il tentativo di dare corpo e materia alla brutalità della frontiera. Un confine che non vale per tutti, che noi attraversiamo in continuazione nel tentativo di essere di supporto per i movimenti tra le due sponde della frontiera, monitorando quanto accade. Continue reading
Lettera della “Gastronomia precaria e clandestina dal presidio di Ventimiglia”
Apprendiamo dai giornali “La Stampa” e il “Secolo XIX” del nuovo piano del sindaco di Ventimiglia per la sicurezza alimentare nei confronti dei migranti bloccati sugli scogli da ormai più di un mese. Giustamente il Sindaco si pone il problema igienico di una situazione che ormai non è più emergenziale. Tuttavia pare che a inquietare Enrico Ioculano non sia il fatto che nessuna istituzione (fatto salvo il Sindaco stesso) si sia mai preoccupata delle condizioni di vita dei migranti, bensì il fatto che vi sono gruppi che forniscono alimenti ai migranti, col fine (si suggerisce nell’articolo di Patrizia Mazzarello), di “strumentalizzarli”. Non è chiaro a cosa tenda la “strumentalizzazione” da parte dei gruppi accorsi e sarebbe il caso di esplicitare questa accusa gravissima.
Parliamo prima di tutto delle condizioni di “igiene alimentare”: la Croce Rossa non fornisce pasti caldi e a causa dei pasti forniti molti migranti hanno avuto problemi di diarrea per giorni, forse anche perché inizialmente il furgone atto a raccogliere le provviste era al sole e i cibi in esso contenuti imputridivano facilmente. Ricordiamo che è solo grazie all’insistenza dei “gruppi” che il furgone è stato spostato per non rischiare di perdere il cibo.
Inoltre, se si vuole parlare di igiene, perché non fare riferimento ai soli 4 bagni chimici per più di cento persone, o al fatto che non ci sono docce se non quelle autocostruite?
Ma parliamoci chiaro, il problema non è l’igiene, a cui nessuno si era interessato fino ad ora. Il fatto è che con questa mossa si vuole impedire che si costruiscano relazioni con i migranti. Si vogliono ricostruire quelle barriere che con difficoltà si sta tentando di abbattere, isolando i migranti sugli scogli dal resto della società. Perché? Non sono abbastanza le barriere che già esistono?
Il problema è che dà fastidio che gruppi di persone solidali si autorganizzino per costruire una resistenza alla situazione che si è creata: da un mese ci sono centinaia di migranti bloccati al confine per il continuo rimbalzarsi delle responsabilità fra Italia e Francia. Uno stallo che impedisce delle persone di muoversi liberamente tra confini intra-europei (quindi non di entrare in Europa in questo caso, paradossalmente) perché non europee. Questo è precisamente il punto, ma, come spesso accade nel nostro paese, si devia il discorso su dettagli tecnici, burocrazia, intoppi di qualsiasi genere che dimenticano che gli argomenti in questione sono esseri umani in carne ed ossa.
L’ordinanza del Sindaco non è forse questo un tentativo di rendere più difficile la vita sugli scogli? Perchè l’impressione è che la presenza sugli scogli dia fastidio al Comune nei termini in cui rovina l’immagine turistica e infiocchettata della costa.
Della reale situazione dei migranti nessuno si sta occupando, né le istituzioni preposte hanno mai provato a interfacciarsi ai migranti per capire quali fossero le loro volontà. Avrebbero capito che a Ventimiglia si è creato un sistema di collaborazione tra migranti, gruppi indipendenti e persone accorse in loro aiuto in cui nessuno è straniero. Avrebbero capito che per i migranti anche solo cucinarsi un pasto, come sta avvenendo, è un modo per continuare a vivere e una forma di autonomia, una forma di libertà che è negata da qualunque altra forma assistenziale. Avrebbero capito che se c’è un modo di abbattere la paura è proprio quello di collaborare tra persone diverse anche nelle situazioni più difficili. Se quel presidio ha una condizione minima di vivibilità e umanità è grazie a quei singoli e gruppi, che in autogestione e con i migranti stessi, da settimane organizzano la vita quotidiana.
Al presidio di Ventimiglia la legalità che ora si pretende non esiste almeno da quando l’Italia e la Francia hanno deciso di derogare ad ogni regola sull’accoglienza. Noi, assieme ai migranti, siamo lì per abbattere dei confini: primo tra tutti quello tra le persone.
Gastronomia precaria e clandestina dal presidio di Ventimiglia
Ventimiglia #5 – We’re welcome: storia di una giravolta
E’ da poco terminato il vertice del consiglio europeo a Bruxelles, le vite di decine di migliaia di migranti sono state nuovamente oggetto della farsa istituzionale, trattate come fossero oggetti da “redistribuire, riallocare”: corpi privati della libertà di decidere. Eppure qui a Ventimiglia dove una parte di questa vita è confinata sugli scogli da ormai quasi tre settimane la parola torna a loro. Abbandonati a loro stessi in un gioco allo sfinimento imposto dall’assenza delle decisioni e degli aiuti istituzionali, compressi tra i blindati della Gendarmerie e quelli della Polizia, costantemente fotografati da ufficiali in borghese che stazionano nel bar situato nei pressi degli scogli. Capiamo subito che nessuno può farli arrendere. Suonano, cantano, ballano e ridono venerdì sera in mezzo ai solidali giunti dalle zone limitrofe. Quella sera per la prima volta non abbiamo cucinato da soli. Dal primo pomeriggio sono arrivati in tanti ai nostri fornelli portando i sapori e le ricette dei paesi che hanno lasciato, confrontandoli con i nostri piatti e scambiando pentole, assaggi ed aiuti. Ibrahim, che in cucina pare avere ottime capacità, ci chiede più volte di assaggiare i piatti per capire a che punto è la cottura e alle 20 ci porge un piatto di chorba (lui non può ancora mangiare perché osserva il ramadan e il sole deve calare ancora) e con un sorriso ci dice “You’re welcome”. Benvenuti nella mia storia, nella mia vita. Una bella giravolta: eravamo noi quelli andati a Ventimiglia per dire loro “Benvenuti”.
Quando la musica finisce e i tamburi smettono di suonare, non tutto ancora tace. Anche questa notte sono le partite di calcetto giocate nel parcheggio, dove abbiamo la cucina, a tenerci svegli fino a tardi. Poi la giornata di sabato inizia lentamente ed è ormai ora di pranzo quando hanno inizio le prime discussioni tra i migranti. Il clima comincia forse ad appesantirsi a causa della stanchezza, ma presto tutto si compone in una forma assembleare multilingue e veniamo anche noi coinvolti nel dibattito. Dopo aver capito l’insofferenza di fronte all’ennesimo “nulla” xenofobo prodotto dall’incontro di Bruxelles ci siamo riuniti insieme ai compagni e alle compagne del Presidio no Borders Ventimiglia, ad alcuni migranti e ai pochi solidali arrivati dal nord-Italia e da Nizza. La discussione è stata subito pragmatica, costretta a scontrarsi con la condizione di emergenza e di abbandono nella quale versano le oltre 150 persone accampate sugli scogli, con le esigenze vitali di tanti e tante e con la stretta sorveglianza fascista dei governi europei. Discussione materiale ma non per questo a-politica, che ci ha messo di fronte ad un’impotenza di fondo: vagliando le varie possibilità è stato evidente che quello che possiamo fare è comunque poco rispetto alla situazione generale. Con questo abbiamo fatto i conti nelle cinque assemblee che facciamo durante la giornata.
Con questo dobbiamo fare i conti.
Qualcuno decide di fare un giro per controllare cosa succede in città e alle altre frontiere. Lo spettacolo è sempre il medesimo: posti di blocco e polizia nelle strade, continui controlli e inoltre la presenza di container (che secondo gli accordi vengono definiti “moduli”) alle frontiere, dove i militari francesi riportano e trattengono i migranti fermati sui treni e sul territorio. Arrivati alla frontiera, la scena che si presenta chiarisce subito quale sia il trattamento riservato a questi: una famiglia siriana, rinchiusa in un “modulo” viene fatta uscire solo all’arrivo dei compagni che, per pura casualità, si trovano sul posto. Questi, impauriti e spaesati, raccontano di essere stati fermati sul treno per Bruxelles con biglietto regolare e portati lì dopo il sequestro dei loro biglietti. La famiglia era anche munita di regolari passaporti e l’ingiustizia ci sembra doppia, nel momento che quando siamo noi a passare la frontiera nelle pause della giornata non ci viene chiesto alcun documento.
La polizia francese fa ovviamente spallucce di fronte alla richiesta di restituirli. Fortunatamente pochi minuti dopo, non lontano da lì, i quattro incontrano un pullman e il conducente si ferma appositamente per farli salire e portarli in Francia a Nizza. Lì nessuno vuole stazionare, le terre francesi governate da Hollande non sono più una meta ambita da chi sbarca sulle coste italiche. Questi ragazzi, per lo più giunti dal Sudan e dall’Eritrea, ci dicono di volersi spingere fino al nord-Europa. Noi non potremo accompagnarli in questo lungo viaggio, ma fino a quando questa situazione di resistenza all’esclusione continuerà dovremo impegnarci per essere sempre di più lì, con il cuore, ma soprattutto con i nostri corpi insieme ai loro. E la nostra cucina, che oramai è diventata un punto di riferimento per tutto l’accampamento nonostante i ripetuti tentativi delle forze dell’ordine di allontanarci con la scusa delle bombole o dell’acqua. Permettere dapprima un pasto, ed in secondo luogo la possibilità di prepararlo insieme, crediamo sia stato importante e ci abbia permesso di superare il modello di intervento assistenziale, gestito male dalla Croce Rossa (ci sono voluti giorni di proteste per far rimuovere dal sole un camion di viveri freschi della Croce Rossa francese). Pur nelle mille difficoltà un obiettivo è stato raggiunto, quello di parlare insieme nella lingua che preferiamo: quella della chorba e della pasta con il pesto, della solidarietà conviviale che è anche della lotta.
Gastronomia precaria e clandestina – Eat the Rich e CampiAperti
Ventimiglia #4 – Il tempo scandito dalle aurore
Si alternano le aurore e i tramonti, e per molti scandiscono anche il tempo del Ramadan.
Il presidio è ormai da qualche giorno dotato di corrente elettrica autoprodotta grazie a un pannello solare installato da un compagno di Dolceacqua. Questo permette a tutti di tenere carichi i propri dispositivi mobili e restare in contatto col mondo, sapere che succede. Altri contadini sono passati a portare la propria solidarietà come e quando potevano. La situazione è ancora bloccata: alcune voci dicono che la Francia mollerà la presa nei prossimi giorni, mentre qualche audace giornalista locale sostiene che dopo l’attentato di oggi (ieri, ndr) alla centrale le frontiere saranno ancora più rigide. In realtà al presidio oggi (ieri, ndr) non si respirava aria pesante: gli unici a lamentarsi della presenza dei migranti sugli scogli e dei solidali sono alcuni albergatori che si appellano alla pulizia del panorama con vista mare… La Gendarmerie espone il proprio vessillo appena dentro il territorio italiano, probabilmente perché la polizia italiana non ha intenzione di assumersi la responsabilità di azioni di contenimento. Ma in realtà non c’è, ne vi sarebbe motivo al momento, alcun tentativo di oltrepassare la frontiera dal varco ufficiale. Esistono altri modi per farlo, tra cui alcuni sentieri di montagna celebri anche per il ruolo che ebbero in altre epoche. Ma il problema non è quello. Il problema è che una volta arrivati in Francia se si viene fermati dalla polizia si viene rispediti in Italia.
A proposito del tentativo della polizia di tenersi in disparte in questa fase, cavalcando la vulgata dei media che hanno gioco facile ad attribuire l’intera responsabilità della faccenda alla Francia – sebbene sappiamo che il problema è dell’intera Unione Europea – va segnalato un tentativo di ieri pomeriggio di utilizzare un intermediario madrelingua arabo per convincere i migranti ad abbandonare gli scogli. Siamo intervenuti chiedendo quindi a uno dei presenti di tradurre per tutti i migranti ciò che veniva detto e garantendo così che non ci fossero imbrogli e false promesse. Il presidio infatti non vuole lasciare quegli scogli, perché sono simbolici, perché promettono visibilità, perché essere portati nelle strutture di accoglienza allestite a Ventimiglia significherebbe abbandonare la possibilità di entrare in Francia e proseguire il viaggio. Nella notte l’Unione Europea ha trovato un accordo che prevede la distribuzione dei migranti con un sistema di quote, il che non va affatto nella direzione della libertà di movimento, né di ricongiungimento familiare. Oltre agli altri problemi già ravvisati tra i governi stessi. Ma sono cose al momento più grandi di noi.
Il tempo del Ramadan (anche se non per tutti) dicevamo, le aurore e i tramonti scandiscono anche i tempi di cottura della Rete Eat The Rich. Come ogni sera la staffetta da Bologna ha garantito un pasto caldo, affiancandosi alle altre strutture che prestano aiuto (Croce Rossa e associazioni di aiuto francesi, oltre ai compagni liguri) ma che non hanno la possibilità di cucinare sul posto. Prima di tutto té per tutti, perché bisogna reidratarsi e reintegrare gli zuccheri. Poi polpette di riso con verdure e contorno di insalata con patate e fagioli.
L’ultimo episodio da segnalare è insignificante ma dà il segno di come molti italiani e probabilmente molti europei vivano questo tipo di vicende. Una commerciante del posto arriva a svegliarci urlandoci contro che non possiamo dormire lì – cioè per terra in un parcheggio – perché “c’è gente che deve lavorare”. Increduli rispondiamo che alcuni di noi devono lavorare il pomeriggio stesso a centinaia di chilometri di distanza. La signora a quel punto si imbestialisce e urla insulti e minacce. Poco dopo, resasi conto di non aver fatto altro che insultare persone che dormivano, viene a chiedere scusa tra le lacrime, dicendo una cosa ben peggiore: “Scusate, ma in queste situazioni si ha sempre la paura di essere aggrediti”. Questa frase dà la cifra del comportamento attuale di gran parte della popolazione italiana: l’aggressore che si finge aggredito. Poi, a quando va bene, a posteriori chiede scusa. Solo dopo aver espulso persone in cerca solamente di un rifugio dalla guerra, solo dopo aver affondato barche cariche di disperati in mare, solo dopo aver negato i diritti fondamentali a uomini senza volto. “Ho visto con i miei occhi quando li caricavano e li portavano via con i pullman, sono stata malissimo”. Eppure evidentemente, a pochi metri da questo presidio, molti locali (non tutti per fortuna) non parlano con nessuno, non entrano in contatto con nessuno, pur avendo per una volta l’occasione di farlo senza subire passivamente notizie che vengono da lontano. Non perdono occasione per continuare a raccontarsi le proprie fantasie, come la “paura di essere aggrediti”, la minaccia dell’invasione straniera. È generalizzata la paura di comunicare con chiunque, siano essi migranti o italiani in aiuto, a fronte di una continua auto-narrazione nella propria solitudine e disperazione. Sicuramente, un altro tipo di disperazione.
Ma stasera (Venerdì) per i migranti alla frontiera, per la staffetta e per tutto il presidio No Borders sarà festa grande e per qualche ora i pensieri cupi se ne andranno.
Domani sarà un’altra aurora, aiutateci anche voi a fare in modo che si chiuda con il tramonto di tutte le frontiere… We are not coming back!
Gastronomia precaria e clandestina – Eat the Rich e CampiAperti
Ventimiglia #3 – Cosa difende una frontiera
Ventimiglia, dicono, ma i piedi appoggiati sugli scogli hanno il peso di ventimila miglia.
Ventimiglia, dicono, direzione Costa Azzura, le decappottabili sfrecciano di passaggio.
Ventimiglia, “we are not coming back” si sente risuonare.
Ventimiglia e 16 giorni di ostinata indisposizione a farsi spostare in luoghi meno visibili, meno urticanti per la suscettibilità e il “decoro”, non un passo indietro nemmeno in cambio di una doccia un letto e un po’ d’ombra dopo 2 settimane di sole a picco.
Stando sulla linea di un confine si capisce cosa difende una frontiera, quale e quanto potere, quanti soldi, quanta paura inoculata tutti i giorni a dosi variabili, quanto sia allo stesso tempo un artificio e una condizione necessaria affinchè lo Stato resti governabile, affinché i rapporti mercificati e disumanizzati che regolano la società si riproducano.
Ho scoperto oggi che si può giocare a pallone sulla linea del confine, anche se sei una mezza sega come me, e sentirsi come Maradona.
Adesso anche a noi chiedono “perchè siete qui?”. Chiedono “cosa credete di fare? Di fare la carità, il volontariato, di farli stare meglio? Di dar loro da mangiare? C’è la croce rossa e la rete solidale degli islamici francesi, cosa credete di fare con due fornelli da campo? Cosa credete di fare?”
Io voglio stare qui perchè se può filtrare aurora in questa notte arriverà da qui e quando s’infuocherà il cielo, anche per pochi minuti, non vorrei essere da un’altra parte. Dovreste venire anche voi.
Dopo l’assemblea di mercoledì sera si è deciso che la sera di venerdì 26 ci sarà una grande festa al presidio permanente. Si cucinerà tutti e tutte assieme una grande cena, la cucina da campo di Eat the Rich e CampiAperti ha ricevuto il compito di coordinare le cucine e coinvolgere i migranti nella costruzione della cena. Faremo una grande festa, ci saranno gruppi musicali e tanto cibo dal calar del sole. Danzeremo e banchetteremo per la gioia di aprire spazi di libertà e solidarietà in faccia a chi vuole solo dividere e dominare. We are not coming back!
In alto le forchette,
Rete Eat the Rich e CampiAperti dal Presidio permanente No Borders a Ventimiglia