E’ da poco terminato il vertice del consiglio europeo a Bruxelles, le vite di decine di migliaia di migranti sono state nuovamente oggetto della farsa istituzionale, trattate come fossero oggetti da “redistribuire, riallocare”: corpi privati della libertà di decidere. Eppure qui a Ventimiglia dove una parte di questa vita è confinata sugli scogli da ormai quasi tre settimane la parola torna a loro. Abbandonati a loro stessi in un gioco allo sfinimento imposto dall’assenza delle decisioni e degli aiuti istituzionali, compressi tra i blindati della Gendarmerie e quelli della Polizia, costantemente fotografati da ufficiali in borghese che stazionano nel bar situato nei pressi degli scogli. Capiamo subito che nessuno può farli arrendere. Suonano, cantano, ballano e ridono venerdì sera in mezzo ai solidali giunti dalle zone limitrofe. Quella sera per la prima volta non abbiamo cucinato da soli. Dal primo pomeriggio sono arrivati in tanti ai nostri fornelli portando i sapori e le ricette dei paesi che hanno lasciato, confrontandoli con i nostri piatti e scambiando pentole, assaggi ed aiuti. Ibrahim, che in cucina pare avere ottime capacità, ci chiede più volte di assaggiare i piatti per capire a che punto è la cottura e alle 20 ci porge un piatto di chorba (lui non può ancora mangiare perché osserva il ramadan e il sole deve calare ancora) e con un sorriso ci dice “You’re welcome”. Benvenuti nella mia storia, nella mia vita. Una bella giravolta: eravamo noi quelli andati a Ventimiglia per dire loro “Benvenuti”.
Quando la musica finisce e i tamburi smettono di suonare, non tutto ancora tace. Anche questa notte sono le partite di calcetto giocate nel parcheggio, dove abbiamo la cucina, a tenerci svegli fino a tardi. Poi la giornata di sabato inizia lentamente ed è ormai ora di pranzo quando hanno inizio le prime discussioni tra i migranti. Il clima comincia forse ad appesantirsi a causa della stanchezza, ma presto tutto si compone in una forma assembleare multilingue e veniamo anche noi coinvolti nel dibattito. Dopo aver capito l’insofferenza di fronte all’ennesimo “nulla” xenofobo prodotto dall’incontro di Bruxelles ci siamo riuniti insieme ai compagni e alle compagne del Presidio no Borders Ventimiglia, ad alcuni migranti e ai pochi solidali arrivati dal nord-Italia e da Nizza. La discussione è stata subito pragmatica, costretta a scontrarsi con la condizione di emergenza e di abbandono nella quale versano le oltre 150 persone accampate sugli scogli, con le esigenze vitali di tanti e tante e con la stretta sorveglianza fascista dei governi europei. Discussione materiale ma non per questo a-politica, che ci ha messo di fronte ad un’impotenza di fondo: vagliando le varie possibilità è stato evidente che quello che possiamo fare è comunque poco rispetto alla situazione generale. Con questo abbiamo fatto i conti nelle cinque assemblee che facciamo durante la giornata.
Con questo dobbiamo fare i conti.
Qualcuno decide di fare un giro per controllare cosa succede in città e alle altre frontiere. Lo spettacolo è sempre il medesimo: posti di blocco e polizia nelle strade, continui controlli e inoltre la presenza di container (che secondo gli accordi vengono definiti “moduli”) alle frontiere, dove i militari francesi riportano e trattengono i migranti fermati sui treni e sul territorio. Arrivati alla frontiera, la scena che si presenta chiarisce subito quale sia il trattamento riservato a questi: una famiglia siriana, rinchiusa in un “modulo” viene fatta uscire solo all’arrivo dei compagni che, per pura casualità, si trovano sul posto. Questi, impauriti e spaesati, raccontano di essere stati fermati sul treno per Bruxelles con biglietto regolare e portati lì dopo il sequestro dei loro biglietti. La famiglia era anche munita di regolari passaporti e l’ingiustizia ci sembra doppia, nel momento che quando siamo noi a passare la frontiera nelle pause della giornata non ci viene chiesto alcun documento.
La polizia francese fa ovviamente spallucce di fronte alla richiesta di restituirli. Fortunatamente pochi minuti dopo, non lontano da lì, i quattro incontrano un pullman e il conducente si ferma appositamente per farli salire e portarli in Francia a Nizza. Lì nessuno vuole stazionare, le terre francesi governate da Hollande non sono più una meta ambita da chi sbarca sulle coste italiche. Questi ragazzi, per lo più giunti dal Sudan e dall’Eritrea, ci dicono di volersi spingere fino al nord-Europa. Noi non potremo accompagnarli in questo lungo viaggio, ma fino a quando questa situazione di resistenza all’esclusione continuerà dovremo impegnarci per essere sempre di più lì, con il cuore, ma soprattutto con i nostri corpi insieme ai loro. E la nostra cucina, che oramai è diventata un punto di riferimento per tutto l’accampamento nonostante i ripetuti tentativi delle forze dell’ordine di allontanarci con la scusa delle bombole o dell’acqua. Permettere dapprima un pasto, ed in secondo luogo la possibilità di prepararlo insieme, crediamo sia stato importante e ci abbia permesso di superare il modello di intervento assistenziale, gestito male dalla Croce Rossa (ci sono voluti giorni di proteste per far rimuovere dal sole un camion di viveri freschi della Croce Rossa francese). Pur nelle mille difficoltà un obiettivo è stato raggiunto, quello di parlare insieme nella lingua che preferiamo: quella della chorba e della pasta con il pesto, della solidarietà conviviale che è anche della lotta.
Gastronomia precaria e clandestina – Eat the Rich e CampiAperti