Un articoluccio del “Corriere di Bologna” ci offre l’occasione di condividere alcune riflessioni sulla città e i suoi amministratori… E’ dalla nascita di Eat the Rich, quattro anni fa ormai, che mettiamo a critica un progetto di città a noi abbastanza chiaro; che si sviluppa su stimolo e indirizzamento del Comune, con investimenti di gruppi finanziari e coop, nel promuovere la Bologna della gastronomia, la “city of food”. E se già Camporesi in tempi non sospetti (era il 1989!) denuncia Bologna la “grassa” come un “cliché turistico-gastronomico molto approssimativo […] convenzione al limite della mistificazione, mito gastronomico e non verità alimentare, topos e luogo comune, non realtà”. Eppure su questa enorme bufala, come spesso succede, c’è chi c’ha bellamente speculato, politicamente ed economicamente.
In questi quattro anni questo ha comportato la progressiva trasformazione della nostra città in uno spazio a misura di residenti ad alto reddito e turismo superficiale – che non fa esperienza ma consumo a-critico, pranza da McDonald e fa cena da Eataly. Sono gli stessi studi del Comune di qualche mese fa a dire che all’innalzarsi del numero dei ristoranti, e dei prezzi, c’è stato un abbassamento della qualità del cibo. E mai in nessun modo si è determinato un aumento dell’accesso per tutte/i a un cibo buono e libero da sfruttamenti, della terra, del lavoro e degli animali. Una città e un’amministrazione che da anni non riesce ancora a soddisfare le basilari esigenze dell’Osservatorio Mense Scolastiche; che alla vertenza degli studenti contro la mensa più cara d’Italia risponde con cariche e misure cautelari; e però tira a lucido il Mercato delle Erbe, disseppellisce il Mercato di Mezzo, “riqualifica” il Mercato Albani e si prepara ad inaugurare Fico.
Non si sa se piangere o ridere dell’articolo di ieri del Corriere di Bologna, dove si manifesta una preoccupazione di “indigestione” e gentrificazione della città. I numeri potrebbero stupire qualcuno, ma per noi è palese la malafede di chi scrive l’articolo e dell’assessora Gambarelli nel voler far passare come “naturali” questi processi. Dare implicitamente la responsabilità al mercato e alla libera impresa dei processi di trasformazione, non fa che nascondere il ruolo degli amministratori locali che predispongono linee guida e concedono licenze e permessi. Dove sono finiti l’entusiasmo e le gioiose visioni di Merola, Lepore e co(op)mpagnia cantante? Nell’epoca in cui non sono più le nazioni ad essere in competizione, ma le città stesse in una competizione “g-locale”, c’è chi ha scelto in maniera pienamente cosciente che Bologna debba diventare la city of food. Non c’è spontaneità ma strategia pianificata fordista nei ritmi del consumo e del tempo libero. Città parco-giochi, con ognuna il suo tema, le sue “tipicità”, che devono praticare virtù socialmente accettabili con mercatini bio scintillanti, orti urbani, piste ciclabili, città smart, co-partecipate, città solo apparentemente più libere. Apparentemente perché sono le stesse degli sgomberi di famiglie e migranti, dove non vengono tollerati, e quindi prontamente repressi, tutti i comportamenti devianti, eccentrici, anti-sociali, non-consumistici o conflittuali.
Lungi da noi la nostalgia per personaggi disgustosi come Beppe Maniglia ma quello che ci domandiamo è fino a quando tutte/i a fare aperitivo in centro protetti da gigantesche fiorere Jersey?
I dati della camera di commercio forniscono solo una fotografia distorta dove tutto si confonde e nel magico gioco della fabbrica del turismo paiono non esserci padroni e responsabili, ma solo vincenti e vinti. Sappiamo che la storia è ben diversa e presto o tardi gli esclusi dalla grande abbuffata sapranno e dovranno rovesciare il tavolo di corte.
qui l’articoluccio: Bologna, città dei taglieri
Stay foolish,
Stay hungry,
Eat the Rich!