Mentre a Bologna ci sarà la prima giornata del Festival delle Cucine Popolari ed Autogestite, dove brigate di cucinier* condivideranno idee e pratiche, domani in tanti e tante si incontreranno a Roma per urlare un chiaro NO al TTIP.
Ci opponiamo al fatto che l’accessibilità a un cibo genuino e privo di OGM, una giusta retribuzione per chi lavora la terra e lo svincolarsi dalla GDO attraverso reti, GAS e relazioni personali vengano sacrificati in nome del saccheggio, del profitto, della speculazione e delle logiche capitalistiche di mercato. Anche alla luce delle recenti rivelazioni, non si può tacere di fronte a un trattato intercontinentale che non avrà altro risultato se non la distruzione e la scomparsa di tuttò ciò che è genuino e giusto.
Col coltello e la forchetta ci mangiamo il padrone, e il trattato dopo la digestione!
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Solidarietà al corteo al Brennero: annullamento del IV tavolo
Come Rete Eat the Rich avevamo pensato di dedicare uno dei tavoli di lavoro della prima giornata del Festival delle Cucine Autogestite, il 7 maggio, alla questione del cibo all’interno delle istituzioni detentive, per provare insieme ad altr* a condividere le informazioni, sempre molto frammentarie, che si hanno in merito, riflettere sulle lotte che anche su questo terreno si sono mosse e pensarne altre ancora. Il 7 maggio è anche la data scelta per un corteo di opposizione alle frontiere, al confine Italia-Austria, dove il governo austriaco sta rafforzando il dispositivo di controllo e gestione della mobilità sul confine.Riterremmo contraddittorio e incompatibile lo svolgimento di quel tavolo quando, nello stesso momento, una delle lotte di cui avremmo voluto discutere ha un suo momento di esplicitazione: per questo il tavolo non avrà luogo nella forma che avevamo pensato.
Poniamo in calce a questo comunicato il testo da cui avremmo voluto muovere la discussione del 7, e invitiamo tutt* coloro che fossero interessat* a questi ragionamenti e convint* dell’utilità di avviare una discussione di questo tipo a incontrarci il giorno dopo a XM24.
Tavolo di discussione su profitto e controllo: il cibo nelle istituzioni totali
E’ ormai lampante che il cibo, la sua produzione e distribuzione, siano oggi tra i principali assi nella
manica dell’imbellettamento “buono, pulito e giusto” (cit.) che i grandi potentati economici e i loro
piccoli parenti stanno affannando a darsi negli ultimi anni. È altrettanto evidente come attraverso
questi processi agiscano nuove forme di controllo, di sfruttamento e di profitto.
Mangiare, si sa, è una necessità per chiunque e ciò ne fa un’occasione assai ghiotta per quegli attori
che decidano di approfittarne. Questi processi, ben consolidatisi in ogni ambito di vita, sono ancor
più espliciti nelle istituzioni detentive, entro i cui i confini già il potere è esercitato, a partire dalla
privazione della libertà, come una sequenza di forme di ricatto.
Nelle carceri come nei CIE, grande distribuzione e cooperative fanno affari d’oro con gli appalti per
la distribuzione e la gestione degli alimenti. E se il profitto è forse l’elemento più lampante su cui
costruire un ragionamento intorno al cibo nelle istituzioni totali, certamente non è l’unico.
Nella parabola del reinserimento sociale dei detenuti tramite il lavoro, per esempio, si può tracciare
un tentativo di domesticazione allo sfruttamento. allo stesso modo nel dispensare un condimento di psicofarmaci nei piatti dei prigionieri dei CIE si può intuire un esperimento di prevenzione rispetto a possibili rivolte.
Non ci sembra azzardato leggere in questi dispositivi delle linee guida e delle reciproche
contaminazioni tra Dentro e Fuori.
Sui litorali di Ventimiglia un’ordinanza del sindaco fa divieto di “sfamare i migranti”, pena multe
salatissime: lo si afferma fuori, lo si ribadisce dentro, che solo chi è complice può decidere di
graziare gli esclusi con un pasto.
Nei cie come nei neo-costituiti hotspot i pasti non sono che un altro strumento di ricatto, l’ennesimo
dispositivo di controllo per cui anche la fame deve essere disciplinata dagli orari e dalle regole
imposte dall’istituzione.
Per le strade delle città, negli uffici delle società che gestiscono l’alimentazione di carceri e cie, più
o meno loschi imprenditori del sociale annaspano nel tentativo di legittimare le loro complici
attività. E così si portano gli chef stellati a mettere in riga i detenuti, la produzione di cibi biologici
a civilizzare la realtà carceraria.
Consapevoli che questo piano di riflessione non è esaustivo, così come le informazioni di cui
disponiamo non possono da sole fornire il quadro della situazione nella sua complessità, riteniamo
importante proseguire il lavoro confrontandoci non solo sugli spunti di riflessione, ma anche su
esperienze e pratiche di lotta sperimentate in questi contesti. L’idea che sottende la discussione di
questo tavolo è da un lato una riflessione collettiva sull’uso che del cibo viene fatto come
dispositivo di controllo e sfruttamento, come terreno privilegiato del greenwashing sociale più
spregiudicato, dall’altro ripensando il cibo come strumento di lotta e resistenza.
Ragionando sul ruolo del cibo secondo queste linee, vorremmo riuscire a sistematizzare le
informazioni disponibili e a ragionare sulle pratiche già esistenti, discutendo collettivamente dei
percorsi possibili.
Salta un giovedì di mensa, prepariamo il festival!
Questo messaggio si rivolge a tutt@ i/le cucinieri, commensali e buone forchette che seguono in questi giorni il nostro profilo condividendo trepidante attesa per il festival delle cucine popolari autogestite! Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato le tracce di discussione che vorremmo sviluppare in quella giornata, ora è il momento in cui comunicare cosa abbiamo intenzione di portare a tavola. Come in tant@ saprete il progetto di Eat the Rich ha scelto sin dalla sua nascita (oramai quasi tre anni or sono) di svincolarsi il più possibile dalla dipendenza dai prodotti industriali confezionati dalla grande distribuzione e di scegliere con attenzione le reti di produttori solidali, locali e non, ai quali rivolgersi ricercando la genuinità del prodotto e sostenendo economie alternative ed autoproduzioni critiche. Questa scelta “di campo” non l’abbiamo mai rinnegata e i prodotti che ci accompagneranno nella prossima due giorni saranno anche il frutto di tante riflessioni oltre che delle fatiche di contadine e contadini e del rispetto della terra.
Prima di giungere al dunque avvisiamo della chiusura temporanea della mensa di Eat the Rich a Vag61 per questo giovedì poiché come è facile immaginare siamo impegnatissimi e concentrati sul finesettimana alle porte.
Dopo tutte queste parole, ecco il menù che proponiamo per la giornata di sabato, quando saremo noi di Bologna ad occuparci di riempire gli stomaci.
Domenica 8 invece tante cucine da luoghi diversi monteranno cucine di strada e tavoli per condividere le loro ricette.
SABATO 7 maggio
Colazione dalle ore 9
-Caffè Malatesta
-Pane autoprodotto con farine semintegrali
-Marmellate condivise (portatene quante ne avete e godete nel condividerle!)
Pranzo dalle ore 13,30
-Farro con zucchine e pesto di menta e limone
-Focacce con crema di fave e cicoria saltata
-Involtini di cicoria ripieni di finocchio e carote con salsa agrodolce
-Insalata, ravanelli e finocchi con vinaigrette agli agrumi
Cena dalle 20.30
-Pasta con pesto di pomodori secchi e porro con granella di mandorle tostate e salate
-Pasta con crema di radicchio rosso e rosmarino con funghi beconizzati
-Arancini di riso, ripieni di asparagi e besciamella vegana alla curcuma
-Scarpaccia integrale ai carciofi
-Barchette di radicchio ripiene di crema di lenticchie rosse e patate con spinaci saltati con pimiento ahumado
-Spaghetti di zucchine marinate 24h in succo di agrumi con fagioli neri saltati
– Spuma di mele con succo di limone, menta e zucchero di canna
Eat the Feet n° 6 (in cammino verso Genuino Clandestino)
Giorno 6, #47Marzo
Ed eccoci arrivati all’ultima tappa di questo nostro cammino mangiapiedi. Questa sera si arriverà a Settimo San Pietro, e la compagia si mescolerà con tante e tanti produttori, trasformatori e compagni provenienti da tutta Italia. Ma per ora siamo ancora noi, magnifici 7, e non abbiamo alcun desiderio di separarci. La sveglia è come di consueto prestissimo, alle 7 del mattino, e il ritardo di sonno generale aumenta ancora di più. A. e R. ci offrono la loro casa per una sessione di docce di cui abbiamo estremo bisogno, sia per noi stessi che per gli altri. Ma il primo appuntamento della giornata è lì dietro l’angolo: A. e A. sono venuti in macchina dalla vicina cittadina di Villacidro per raccontarci altre storie di saccheggio di territorio e ribellione. Li incontriamo nel Wunder Bar di Vallermosa, e tra un caffè e l’altro veniamo a conoscenza di un sacco di cose: dall’esperienza di un’assemblea permanente che a inizio 2015 occupa per ben 40 giorni il consiglio comunale di Villacidro e che esprime addirittura due rappresentanti istituzionali (ma sempre destituibili dall’assemblea stessa, in un bel tentativo di democrazia diretta) all’esistenza di una fabbrica di bombe nel vicino paese di Domus Novas, fabbrica che esporta strumenti di morte anche in Medio Oriente. E, a proposito, assurda è anche la vicenda dell’emiro del Qatar, che è stato protagonista di un’immensa operazione spuculativa in ambito sanitario che vede al centro il nuovo ospedale privato di Olbia. E a proposito, è praticamente accertato che l’emiro, che è tra l’altro presidente del Paris Saint Germain e che ha interessi ampi e diversificati in Sardegna, sia tra i massimi finanziatori dell’Isis. Sì, avete capito bene: il presidente della squadra di calcio di Parigi è corresponsabile degli attentati che hanno insanguinato la capitale francese nel 2015, e mentre lui ovviamente è intoccabile tanto che sposta capitali e fa profitti in tutta Europa, lo stato di emergenza nazionale e la chiusura delle frontiere devastano la vita di milioni di persone.
Rincuorati dall’ennesima prova che viviamo nel migliore dei mondi possibili, salutiamo A. e A. (li rivedremo la sera stessa all’incontro di Genuino Clandestino) e facciamo un buon pranzo in un ristorante di Vallermosa. Li davanti facciamo pure amicizia con dei richiedenti asilo che vivono in un centro d’accoglienza. E la questione migratoria ci si ripresenta in tutta la sua drammaticità, poco dopo, quando, appena giunti a Cagliari in autobus, nella bellissima piazza della stazione vediamo un quasi accampamento di migranti, presumibilmente gli stessi che solo una settimana fa hanno avuto il piacere di conoscere i lacrimogeni della polizia italiana, colpevoli di chiedere un trasferimento nel continente perché, come è del tutto evidente, in Sardegna non c’è lavoro.
Fatte le commissioni più disparate (banca, farmacia, negozio Wind per risolvere il problema del puk di Perez), ecco che ci muoviamo verso G. C. Ci aspetterà una cena, una sbronza colossale, e altri due giorni belli e impegnativi.
Ma una cosa sentiamo di dircela al termine di questo viaggio: il General Intellect ha funzionato alla grande!
Eat the Feet n° 5 (in cammino verso Genuino Clandestino)
Giorno 5, #46Marzo
Sveglia alle 8 per oggi, quando il sole non è ancora arrivato a riscaldare le tende, che ripieghiamo accuratamente prima di rimetterci in marcia, cantando a squarciagola le canzoni di Max Pezzali ed esaltando l’incommensurabile grandezza di Mauro Repetto. Veniamo a conoscenza di un sentiero che ci permette di arrivare a Vallermosa senza passare per Villacidro, risparmiando così diversi chilometri di strade asfaltate. Percorriamo così un tratto di strada sterrata, prima di attaccare una salita lunga e bella ripida, oltre che naturalisticamente meravigliosa, che ci porta in località Matzani, a circa 600 metri sopra il livello del mare, dove dai resti di un tempio punico riusciamo ad ammirare il golfo del Sulcis da una parte e quello di Cagliari, dall’altra, con tutto il Medio Campidano nel mezzo.
Dopo una breve pausa pranzo, seguiamo un pezzo della tagliafuoco (strada verticale che taglia il bosco in funzione anti-incendio), e poi recuperiamo la strada che ci dovrebbe portare fino a Vallermosa, un tempo Villa Hermosa, perché fondata durante la colonizzazione spagnola. A 6 km dall’arrivo, quando abbiamo accumulato il solito abbondante ritardo sulla tabella di marcia, che prevede un incontro tardo-pomeridiamo con B. del comitato locale, ci imbattiamo in una casa di campagna in cui una ventina di cacciatori di cinghiali stanno facendo una grigliata (cosiddetto spuntino), con tanto di caglio di pecora e una notevole quantità di birra e buon vino. È impossibile sottrarci dalla loro ospitalità, ed è solo con l’arrivo di B. F. e R. che, in seguito ad altre birre e bicchieri di vino, riusciamo a partire con le auto verso il paese.
Arriviamo quindi alla casa di B. e F., la più bella di Vallermosa, costruita a mano in bioedilizia, con anni di duro lavoro estivo in cui i due hanno fatto a mano più di 5000 mattoni di terra cruda, che qui vengono chiamati ladiri, la casa è davvero un gioiello raro. E gioielli rari (ma comuni pare nei comitati sardi) sono i nostri ospiti, persone che definire meravigliose è poco. Ci raccontano del loro comitato Sa Nuxedda Free, nato contro l’ennesimo progetto termodinamico che investe una zona a due passi dalla casa. Uno scempio che ha molto in comune di Guspini-Gonnosfanadiga. Una differenza sostanziale è costituita dalla forma dell’installazione degli specchi, si tratterebbe, infatti, di una torre alta duecento metri, che una volta realizzata sarebbe visibile addirittura da Cagliari. Nella discussione comprendiamo meglio una questione che era già sorta negli incontri dei giorni precedenti, relativa agli elettrodotti.
Pare che dalla Sardegna partano due elettrodotti, uno verso la Corsica e uno verso il continente, entrambi saturi. La quantità di energia prodotta sull’isola, attraverso risorse fossili e rinnovabili, supera di gran lunga il fabbisogno energetico locale. Sembra che a tal proposito verrà costruito un terzo elettrodotto, in grado di esportare una quantità maggiore di energia, che dovrebbe essere incluso nel nuovo piano energetico regionale. Alla luce di tutto questo i progetti di questi mega impianti di energie rinnovabili rispondono solo a esigenze speculative legate alla concessione di incentivi pubblici (per ogni Kw prodotto lo stato assegna un incentivo di 0,30€). Come nel’800 sulla questione delle miniere (come riportiamo nella giornata di ieri) ci sembra di essere di fronte a meccanismi estrattivi “coloniali”, che non lasciano alcun indotto rilevante sul territorio, se non le briciole necessarie per cercare di spaccare il tessuto sociale. Per quanto riguarda il termodinamico, sembra chiaro dalle parole dei nostri interlocutori, che la Sardegna costituisca in questo momento un terreno di sperimentazione e vetrina per progetti che una volta sviluppati verranno esportati su scala maggiore.
Il progetto è ancora fermo, grazie soprattutto alla tenacia e al lavoro del comitato. Per tale motivo i promotori dell’impianto hanno fatto ricorso al Tar, che lo ha definito inaccettabile. La questione adesso si sposterà probabilmente al Consigli di Stato. In ogni caso il comitato ci garantisce che il termodinamico non si farà e che la loro determinazione non si fermerà di fronte a nulla.
Le chiacchiere si prolungano per circa tre ore senza quasi accorgercene, nonostante il debito di sonno e le molte ore di cammino. Quello che ci aspetta però è una cena fantastica: malloreddus (una tipica pasta sarda) con finocchio selvatico e ricotta affumicata, poi formaggi, cardi sottolio, bistecca, pane, vino e dolci tipici di Vallermosa.
Eat the Feet n°4 (in cammino verso Genuino Clandestino)
Giorno 4, #45Marzo
Sveglia prestissimo stamattina, che interrompe la pace e la tranquillità del nostro ambiente circostante, alle pendici della catena montuosa del Linas, tra la brezza delle prime ore del giorno. Le intenzioni sono buone: l’idea è di svegliarci alle 7 e di essere operativi per le 8.15, quando arriverà L. che ci porterà in giro per sentieri, poco segnati e di difficile accesso per chi non è della zona. Con L. ci sono anche A., M. e S. Ovviamente, complice la sbornia del giorno prima e la mala organizzazione che ci contraddistingue, non ci muoviamo prima delle 8.40. Attacchiamo una strada in salita, 3km con un dislivello di 700 mt; carichi come siamo di cibarie, acqua e mirto per due giorni, questo primo tratto ci fa decisamente vacillare. Il territorio porta ancora le tracce delle gallerie utilizzate dalle vecchie miniere. Il bosco di lecci prima e la macchia mediterranea poi sono i protagonisti di questa prima parte del percorso. Ma osservando attentamente grazie alle continue indicazioni delle nostre guide, scopriamo lentamente l’estrema ricchezza di queste terre, un’esplosione di colori e profumi.
Sotto il leccio, che ombreggia il sottobosco, resistono soprattutto il pungitopo e il ciclamino. Ma ci sono anche tantissimi altri esemplari che ci raccontano di una particolare relazione di queste comunità con il loro territorio: dal corbezzolo, usato soprattutto per la produzione di un miele amaro o come dolcificante, all’erica le cui radici venivano utilizzate per la costruzione delle pipe. E poi asparagi, asfodelo, elicriso, lavanda, ferula e l’euforbia (utilizzata contro le malattie della pelle, dalle vesciche ai tumori). Menzione particolare merita il lentisco, arbusto tipico della macchia mediterranea, il cui olio (regalatoci da A. e S. del comitato il giorno prima) ha delle proprietà curative incredibili: lo utilizzeremo noi stessi, continuamente e con successo, per le vesciche sotto i nostri piedi stanchi, per curare una dermatite atopica, e per alleviare le scottature.
La salita è dura, ed è quasi incomprensibile come per tutto il tempo Wolf, Cla e Perez riescano a tirarsi delle pezze giganti sul Comitato Invisibile e la politicizzazione del Signore degli Anelli. Si arriva in questo modo, e con tanto di avvistamenti d’aquila, a Gennaspina, da cui ammiriamo il paesaggio sottostante, quello stesso che alcuni vorrebbero coprire con l’immenso impianto termodinamico.
Da lì proseguiamo in costa e poi in leggera salita, e lungo questo sentiero camminiamo paralleli a un’incomprensibile recinzione di metallo e filo spinato che divide i comuni di Gonnosfanadiga e Villacidro; giungiamo così al passo Figus, sotto Punta Cammedda, a 1070 m sul livello del mare. Foto di gruppo e poi via per una discesa ardimentosa, con visibile crescita di vesciche, soprattutto sotto i piedi della Venciu. Qui ritroviamo le pernici e la cosiddetta “uva della volpe”, che nelle situazioni estreme è in grado di soddisfare le esigenze del viandante assetato; il paesaggio a poco a poco si trasforma di nuovo, e la macchia lascia di nuovo spazio al bosco, e a un ruscello meraviglioso che porta alla grande cascata Muru Mannu (la più alta della Sardegna, circa 40 m) dai colori indescrivibili: marrone, grigio e verde pastello si intervallano alle differenti gradazioni con cui l’acqua scrosciante incontra la luce del sole e bagna il granito. Per arrivarci, l’ultimo tratto prevede anche un pezzettino di corda, fissata decisamente male, che fa desistere alcun* di noi.
Tornati indietro di appena 100 metri, un grande bagno di gruppo in una pozza gelata, con tanto di lavaggio green con sciampo d’argilla, precede un pranzo coi fiocchi, a cui i nostri amici sardi contribuiscono con vino, mirto, pecorino e pane carasau. Prima di ripartire, la serenità della situazione e degli odori viene di colpo travolta da una zaffata di deodorante Macho, che il grande nemico di Farinetti sparge per l’ambiente circostante.
Dopo una pausa non troppo breve, ecco che si ricomincia il cammino attraverso il bosco. Nel tragitto incontriamo i resti in pietra dei villaggi dei carbonai. Ancora una volta la storia di questo territorio ci parla di devastazione e sfruttamento per la produzione di energia. Tutta la zona, come gran parte della Sardegna è stata, infatti, saccheggiata per la produzione di carbone. La ricrescita veloce del leccio legittimava la deforestazione boschiva. Ma di maggiore importanza, ieri come oggi, tutto questo accadeva ai danni della popolazione locale per opera delle concessioni che il Regno assegnava alle compagnie amiche.
Intorno alla questione mineraria, e a quella dei conflitti sulla terra, nella prima metà dell’Ottocento si verificarono eventi importantissimi nell’allora Regno di Sardegna. Prima, nel 1820, il cosiddetto “Editto delle chiudende” formalizzò l’accumulazione originaria terriera sull’isola: costituzione della proprietà privata attraverso la recinzione delle terre di uso comune. Poi, nel 1848, una legge, mentre confermava ai nuovi proprietari il possesso del suolo, conferiva al Regno l’esclusiva proprietà del sottosuolo e delle sue risorse, di cui quella mineraria era allora la più importante.
Dopo un paio d’ore di cammino, arriviamo finalmente a un’area attrezza nella comunità di Monte Mannu, nel territorio di Villacidro. Lì facciamo amicizia con P., il guardiano notturno, che ci presta una graticola, e dopo un rapido montaggio tende e recupero legna cuciniamo sul fuoco pane e formaggio scolandoci le ultime bottiglie di mirto.
E, cotti dalla stanchezza, passiamo le prime ore della a giocare a mezzo porco, di pessimo stile scout, che ci ha provocato odio e diffidenza reciproca, e per chi voglia sapere dettagli ci contatti personalmente.
Di seguito una bella poesia sarda di Melchiorre Murenu che descrive con parole infiammate il crimine dell’editto delle chiudende:
“Tancas serradas a muru
fattas a s’afferra afferra,
si su chelu fit in terra,
che l’aian serradu puru”
“Campi chiusi a muro,
fatti all’arraffa arraffa,
se il cielo fosse stato in terra,
avrebbero recintato pure quello”
Eat the Feet n° 3 (in cammino verso Genuino Clandestino)
Giorno 3: #43Marzo
Sveglia più rilassata quest’oggi, e gran colazione offerta da P. ed E. Si aggregano E. e A. e ci portano a vedere le serre di cui si parlava ieri. Come si diceva, la vicenda nasce quando dei privati, ben inseriti in circuiti finanziari transnazionali, riescono ad ottenere la disponibilità di 64 ettari di terra per costruire delle serre fotovoltaiche: prendono così i finanziamenti pubblici, e dentro le serre non coltivano quasi nulla (palesemente in barba alle leggi sul fotovoltaico in agricoltura) mentre l’energia, come sempre, viene dispersa altrove. (Rispetto alla questione della trasmissione dell’energia tra Sardegna e continente, ci è sembrato di capire che la cosa abbia dei contorni particolarmente complessi. Rimanderemo a una riflessione successiva).
Come se non bastasse, la presenza delle serre copre tutti gli incentivi alle rinnovabili a cui il comune può avere accesso, impedendo ai residenti di ricevere alcun tipo di finanziamento pubblico per piccoli pannelli molto meno eco-invasivi. La prassi è quindi quella che si vedrà anche più avanti per altre questioni: saccheggio del territorio a puro scopo speculativo e con grave danno alla popolazione locale. Il tutto condito con le solite leggi forti con i deboli e deboli con i forti. I nostri ospiti ci raccontano di aver dato vita a un comitato, la cui avvocatessa è giunta addirittura a vincere le elezioni comunali. Intanto, il comitato fa ricorso al Tar e vince la causa, ma quando la palla passa al Consiglio di Stato la decisione viene magicamente ribaltata, e quindi nonostante la vittoria elettorale il progetto sembra essere inamovibile.
Dopo un rifornimento a un supermercato Coop, che ci ricorda quanto sia capillare la pervasività del brand che ben conosciamo, scendiamo in autobus fino al paese di Guspini.
Nel tragitto passiamo dalla città di Oristano, e dai comuni di Arborea e San Nicolò d’Arcidano. Purtroppo, per mancanza di tempo non passiamo ci fermiamo, ma questi luoghi meritano una menzione. Arborea ha visto negli ultimi anni il tentativo della Saras, azienda petrolifera già presente sull’isola e legata alla famiglia Moratti, di installare un progetto (chiamato Progetto Eleonora, con nessun riferimento alla Venciu) di trivellazione, che sono state però bloccate da un comitato che nel frattempo è arrivato sino al governo municipale. A San Nicolò, invece, ha sede un comitato contro la base NATO di Capo Frasca, il promontorio lì vicino, una delle tante presenti (e contrastate) sull’isola.
E a proposito di basi: pare che esistesse un progetto di copertura radar su tutta l’isola di cui i cittadini non erano stati informati dalle istituzioni. Ufficialmente posto in essere come difesa anti-migratoria coordinata da Frontex (e già così fa raccapricciare la pelle) sembra nascondesse in realtà questioni ancora più ambigue. Anche su questo cercheremo di approfondire.
Giunti a Guspini, incontriamo gli e le attiviste di un comitato contro il progetto di un gigantesco impianto termodinamico. Ce ne parlano al New Roxy Bar, il cui barista è il più simpatico del Mediterraneo.
Il tratto di strada che separa Guspini dal vicino Gonnosfanadiga lo percorriamo a piedi, guidati dai compas. Si tratta infatti della zona in cui il progetto contro cui gli abitanti di entrambi i paesi combattono dovrebbe avere luogo. E’ un territorio verde e meraviglioso, dedito ad agricoltura e soprattutto ad allevamento e pastorizia, che qui in zona sono particolarmente fiorenti. Il progetto prevede l’installazione di un parco termodinamico di 232 ettari (grossomodo l’ampiezza di 400 campi da calcio) di specchi fotovoltaici; i quali, per raccogliere energia solare, devono essere esattamente perpendicolari al sole e alla stessa altezza, il che vuol dire una gigantesca operazione di smussamento e appiattimento del territorio, oltre che colate di cemento. L’indotto per la popolazione locale sarà minimo, di breve durata (giusto il tempo di costruzione dell’impianto) e coinvolgerà solo qualche impresa edile; i pochi tecnici e operai specializzati che lavoreranno al progetto, infatti, verranno probabilmente da fuori. E il progetto stesso utilizzerà per la circolazione del calore dei sali, di un tipo sottoposto per la sua tossicità alla direttiva Seveso III. Insomma, lo solita operazione altamente speculativa fatta in combutta tra capitalisti che vengono da fuori e pochi grandi proprietari locali, che se abbastanza collaborativi garantirebbero la possibilità di esproprio nei confronti di altri proprietari che si dovessero opporre.
Ma i nostri compas, belli combattivi e organizzati (e tra loro alcuni sono pure nella rete di Genuino Clandestino!) garantiscono che il progetto non si farà mai. Un ottimismo della volontà che fa ben sperare, unito ad una gentilezza estrema: nel pomeriggio, dopo una spesa al fornitissimo discount MD, e una visita alla tomba dei giganti risalente al periodo nuragico, ci scorrazzano in montagna fino a una vecchia miniera abbandonata, dove condividiamo una gran cena sfiziosa con tanto di ottimo mirto offerta da loro, e dove troviamo un riparo per la notte.
E ci procurano, per l’indomani, una guida che ci accompagnerà nell’attraversamento della catena del Linas, per la quale i sentieri non sono segnati e la macchia mediterranea è delle più fitte. La sveglia sarà alle 7.00, e avrebbe dovuto unirsi a noi anche Vale, che però è bloccata a Bruxelles dalla cancellazione dei voti (altra cosa da approfondire, sull’isola e altrove: che succede a Ryanair?).
In preda ai fumi alcolici Perez scazza per tre volte il suo pin e in mezzo alle pendici dei monti il silenzio viene rotto dall’urlo ripetuto più volte VOGLIO IL MIO PUK!
7-8 Maggio – Festival delle Cucine Popolari Autogestite
info e adesioni: eattherich@autistici.org
Mossi dalla convinzione che la cucina sia un campo assolutamente non neutro, che viva le contraddizioni e i ricatti del reale, che quindi debba essere un terreno di lotta e possa scatenare processi politici, intendiamo lanciare per inizio maggio un incontro nazionale, transnazionale e intergalattico a tutte quelle cucine e a tutti quei cucinieri sovversivi che fossero interessati a condividere con noi questo spunto, che intendano la sovversione del nostro tempo come anche sovversione di ciò che ruota attorno al cibo.
Rivendicare e organizzare l’accesso per tutt* a un cibo genuino, il più possibile fuori dalle logiche di mercato e libero dallo sfruttamento è un programma politico vasto e ancora tutto da scrivere, che contempla risposte molto diverse fra loro a seconda delle specificità dei bisogni e dei desideri dei territori che lo esprimono.
Cucine di strada, mense, osterie e taverne, popolari e autogestite, tante e diverse sono le esperienze che negli ultimi anni sono nate in giro per l’Italia. Oltre il mero autofinanziamento per l’autogestione, anche la cucina diventa spazio di rivendicazione politica e costruzione di autonomia.
Facciamo questa chiamata perché anche solo contribuire a una mappatura di tutto quello che si “muove” ci sembra un lavoro interessante. Scommettiamo nell’incontro e nel confronto delle varie esperienze che vorranno partecipare e siamo mossi dal desiderio di contagio, con la convinzione che nessuno abbia la “ricetta rivoluzionaria” in tasca.
L’incontro sarà strutturato in due giorni, sabato 7 e domenica 8 maggio, e sarà incentrato sull’idea di cucina come strumento di resistenza.
Sabato, negli spazi di XM24, via Fioravanti 24, proporremo dei tavoli tematici di discussione che confluiranno in una plenaria.
- Approvvigionamento di materie prime e filiera alimentare;
- Forme di organizzazione delle cucine tra conflittualità e sostenibilità politica;
- Sfruttamento: antispecismo, corpi, ecologia politica;
- Profitto e controllo: il cibo nelle istituzioni totali.
Domenica sarà invece un giorno di festa e cucina di strada
Eat the feet n°2 (in cammino verso Genuino Clandestino)
Giorno 2, #43Marzo
Sveglia alle 6.30, per i pochi che si fanno la doccia anche prima.
Si lascia Bosa in autobus (hehe, credevate fosse davvero un giro a piedi, stolti!), e andiamo a sud, direzione Riola Sardo. Giunti a destinazione, ancora rintronati, ci addentriamo nella penisola del Sinis, costeggiando lo stagno di Cabras, popolato da aironi e fenicotteri rosa. Tempo 20 minuti e siamo già fuori strada: il sentiero che stiamo seguendo è sbagliato, ma prontamente rimediamo al danno violando una proprietà privata (e celebrando solennemente il passaggio del filo spinato come momento di riappropriazione del comune sulle enclosures) e ri-raggiungiamo così il sentiero giusto. Perez cammina soddisfatto ciucciando il tubo di gomma dalla sua tanica d’acqua, che la rende plasticosa e petalosa per i più. Pochi chilometri e il sentiero ci spinge a violare un’altra proprietà, ma dei cani pastore ben determinati ci convincono presto a tornare indietro. Ci spostiamo sulla strada provinciale, sotto il sole cocente, in direzione del villaggio di San Salvatore. E qui arriva La Grande Delusione: convinti, o per meglio dire illusi (per colpa di Perez con l’ausilio di Wolf, a onor del vero) che quel posto fosse teatro di alcuni film del grande Sergio Leone (e nello specifico di “C’era una volta il West”, meravigliosa pellicola su un tentativo di esproprio di un terreno in prossimità di una sorgente d’acqua da parte della compagnia delle ferrovie, tanto per stare in tema con il nostro viaggio…) abbiamo amaramente scoperto che il villaggio fu invece il palcoscenico di un “spaghetti western” minore, Giarrettiera Colt (che, per inciso, solo Wolf ha visto).
Il villaggio era tuttavia niente male, molto in stile messicano ma con il bar, chiamato Saloon, che potrebbe essere lo stereotipo della peggior trashata in salsa western.
Proseguiamo poi fino a Cabras, villaggio che negli anni ’60-’70 è stato attraversato da una formidabile lotta dei pescatori contro antichissimi privilegi feudali, con momenti anche di grandi tensioni (“il padrone fu dato in pasto ai maiali”, ci dicono). E visto che solo la lotta paga, nel 1983 i pescatori riuniti in cooperativa ottennero i diritti di pesca nello stagno da parte della regione. Giunti a Cabras, in piazzetta incontriamo uno dei protagonisti di quella lotta, che ha preso parte al primo sciopero del 1958, e si scopre che ha fatto il servizio militare nel pese natale della Venciu. Scatta il brindisi. A quel punto, riusciamo mirabilmente a perdere un paio di autobus e trattiamo per un passaggio low-cost a Narbolia. Arriviamo giusto un minuto dopo i nostri compas Andre e Lavi, giunti da Alghero con un autostop rimediato al gate di Bologna da due macellai sardi, che hanno condiviso il loro sapere in merito alla mecellazione del porco.
Riunitici tutti insieme nel cammino, beviamo Ichnusa a Narbolia esausti e con i piedi già indolenziti; siamo accolti in maniera davvero magnifica da E. P. e L. che ci ospitano nella loro casa, colma di libri. Infatti, P. ed E. sono stati a lungo gestori e proprietari di una piccola libreria indipendente di Oristano, nota anche a livello nazionale e costretti a chiudere in seguito alla crisi. La cena ci commuove: E. è una cuoca fantastica, e in pieno stile genuino clandestino i prodotti con cui ha cucinato provengono direttamente dal suo orto sinergico. Quest’ultimo è collocato immediatamente nelle vicinanze di un mostruoso impianto di serre fotovoltaiche. SI tratta nello specifico di serre coperte da pannelli solari che invadono un territorio di 64 ettari, sotto le quali non si coltiva quasi nulla ma che sono funzionali all’accaparramento di incentivi statali per le energie rinnovabili.
Alla cena si aggiunge anche E., un compagno preziosissimo dei coordinamento dei comitati sardi.
La discussione, tra vino buonissimo e un mirto ancora migliore, continua per molte ore. L’indomani mattina la sveglia suonerà di nuovo molto presto: ci aspetta un giro attorno alle serre sopraccitate. Ci addormentiamo in un russare fragoroso, con Cla che a più riprese mormora: “Wolf, cambia posizione”.
Eat the feet n°1 (in cammino verso Genuino Clandestino)
Partiamo in quattro per l’avventura sarda: Venciu, Mari, Cla e Perez. Scesi dal bus, fermata Birra. E subito birra, tanto per ritardare. Si fa di tutto per perdere l’aereo, altre birre all’aeroporto Marconi e un caffé di troppo con cui sfidiamo la chiusura del gate e la pazienza dei dipendenti Ryanair. Arriviamo finalmente ad Alghero… in compagnia di uno straniero, quel crucco di Wolf Bukowski, lontano discendente dello zio Charles. E con due compagne “sarde”, R1 dalla Toscana e R2 originaria di Ivrea che, gentilissime, ci vengono a prendere all’aeroporto e ci portano in macchina fino alla bella Bosa, una cinquantina di km più a sud, sul litorale ovest. In mezzo, una strada mozzafiato, tra macchia mediterranea e una costa quasi oceanica, roba da buttarcisi immediatamente e fare surf, cosa forse troppo chic per dei viandanti genuini e clandestini quali siamo.
Eh già, perché la nostra meta finale è Settimo San Pietro, provincia di Cagliari, dove dovremmo arrivare venerdì per l’incontro nazionale di G.C. E proprio di questo parliamo in serata attorno a una bella tavola apparecchiata, ricca di fave e pasta al sugo. E di tanto altro, insieme a una decina di compagni sardi, ancora per modo di dire: in due vengono da Milano, uno da Venezia, una dalla Campania, i due sardi sono invece di rientro da esperienze al nord. Tutti vanno o tornano alla terra, c’è chi ha cominciato a mettersi in gioco in questo senso all’età di sessant’anni. Scelte forti, soprattutto considerato che a questa nuova terra d’adozione, a questo paradiso di 8000 anime in mezzo al nulla e sempre più oggetto di speculazioni e attacchi di ogni tipo, i nostri compas si sono così affezionati da mettere su, per difenderla, un comitato multiuso, una specie di “soccorso rosso” in mobilitazione permanente. Dall’acqua pubblica (su cui si erano attivati già tre anni prima del referendum, e su cui hanno aperto uno sportello per la lettura critica delle bollette, seguitissimo in paese, con cui spiegano quanta parte sia solo profitto del gestore) alla lotta contro un campo da golf (il più delle volte, in queste situazioni, semplice scusa per costruire villette sulla costa), dalla creazione di un gruppo d’acquisto locale alla battaglia del momento, quella in sostegno al sì al referendum sulle trivelle.
E proprio su questo si sono concentrate le ultime chiacchiere della serata, sul senso e sull’efficacia di un voto che, dopo l’esperienza del 2011, continua a portare con sé parecchie ambiguità e il rischio costante di un ennesimo tradimento conclamato.
Andiamo a dormire esausti e contenti. Domani (ovvero oggi) sveglia alle 6.30. Direzione: penisola del Sinis. Iniziamo a camminare.