Giorno 2, #43Marzo
Sveglia alle 6.30, per i pochi che si fanno la doccia anche prima.
Si lascia Bosa in autobus (hehe, credevate fosse davvero un giro a piedi, stolti!), e andiamo a sud, direzione Riola Sardo. Giunti a destinazione, ancora rintronati, ci addentriamo nella penisola del Sinis, costeggiando lo stagno di Cabras, popolato da aironi e fenicotteri rosa. Tempo 20 minuti e siamo già fuori strada: il sentiero che stiamo seguendo è sbagliato, ma prontamente rimediamo al danno violando una proprietà privata (e celebrando solennemente il passaggio del filo spinato come momento di riappropriazione del comune sulle enclosures) e ri-raggiungiamo così il sentiero giusto. Perez cammina soddisfatto ciucciando il tubo di gomma dalla sua tanica d’acqua, che la rende plasticosa e petalosa per i più. Pochi chilometri e il sentiero ci spinge a violare un’altra proprietà, ma dei cani pastore ben determinati ci convincono presto a tornare indietro. Ci spostiamo sulla strada provinciale, sotto il sole cocente, in direzione del villaggio di San Salvatore. E qui arriva La Grande Delusione: convinti, o per meglio dire illusi (per colpa di Perez con l’ausilio di Wolf, a onor del vero) che quel posto fosse teatro di alcuni film del grande Sergio Leone (e nello specifico di “C’era una volta il West”, meravigliosa pellicola su un tentativo di esproprio di un terreno in prossimità di una sorgente d’acqua da parte della compagnia delle ferrovie, tanto per stare in tema con il nostro viaggio…) abbiamo amaramente scoperto che il villaggio fu invece il palcoscenico di un “spaghetti western” minore, Giarrettiera Colt (che, per inciso, solo Wolf ha visto).
Il villaggio era tuttavia niente male, molto in stile messicano ma con il bar, chiamato Saloon, che potrebbe essere lo stereotipo della peggior trashata in salsa western.
Proseguiamo poi fino a Cabras, villaggio che negli anni ’60-’70 è stato attraversato da una formidabile lotta dei pescatori contro antichissimi privilegi feudali, con momenti anche di grandi tensioni (“il padrone fu dato in pasto ai maiali”, ci dicono). E visto che solo la lotta paga, nel 1983 i pescatori riuniti in cooperativa ottennero i diritti di pesca nello stagno da parte della regione. Giunti a Cabras, in piazzetta incontriamo uno dei protagonisti di quella lotta, che ha preso parte al primo sciopero del 1958, e si scopre che ha fatto il servizio militare nel pese natale della Venciu. Scatta il brindisi. A quel punto, riusciamo mirabilmente a perdere un paio di autobus e trattiamo per un passaggio low-cost a Narbolia. Arriviamo giusto un minuto dopo i nostri compas Andre e Lavi, giunti da Alghero con un autostop rimediato al gate di Bologna da due macellai sardi, che hanno condiviso il loro sapere in merito alla mecellazione del porco.
Riunitici tutti insieme nel cammino, beviamo Ichnusa a Narbolia esausti e con i piedi già indolenziti; siamo accolti in maniera davvero magnifica da E. P. e L. che ci ospitano nella loro casa, colma di libri. Infatti, P. ed E. sono stati a lungo gestori e proprietari di una piccola libreria indipendente di Oristano, nota anche a livello nazionale e costretti a chiudere in seguito alla crisi. La cena ci commuove: E. è una cuoca fantastica, e in pieno stile genuino clandestino i prodotti con cui ha cucinato provengono direttamente dal suo orto sinergico. Quest’ultimo è collocato immediatamente nelle vicinanze di un mostruoso impianto di serre fotovoltaiche. SI tratta nello specifico di serre coperte da pannelli solari che invadono un territorio di 64 ettari, sotto le quali non si coltiva quasi nulla ma che sono funzionali all’accaparramento di incentivi statali per le energie rinnovabili.
Alla cena si aggiunge anche E., un compagno preziosissimo dei coordinamento dei comitati sardi.
La discussione, tra vino buonissimo e un mirto ancora migliore, continua per molte ore. L’indomani mattina la sveglia suonerà di nuovo molto presto: ci aspetta un giro attorno alle serre sopraccitate. Ci addormentiamo in un russare fragoroso, con Cla che a più riprese mormora: “Wolf, cambia posizione”.